Le epidemie hanno segnato la storia umana ripetutamente, ma la velocità di diffusione limitata ha consentito alle nostre difese naturali di avere il tempo di reagire alla minaccia dell’estinzione. Cosa non riuscita alle popolazioni autoctone delle Americhe. La conquista dell’America è stata la prima vera, anche se inconsapevole, guerra biologica della storia: i milioni di Maya, Aztechi, Incas e nativi Nordamericani furono sterminati non certo da poche centinaia di conquistadores armati di qualche tonnellata di polvere da sparo e qualche tonnellata di acciaio, ma dai loro miliardi di virus del morbillo e del vaiolo che uccisero fino al 95% delle popolazioni (Jared Diamond). Oggi, la difesa contro la velocità della diffusione è ancora nella tecnologia che l’ha creata e favorita attraverso la globalizzazione. Vaccini, terapie, internet consentiranno al marinaio Sapiens di scordarsi della tempesta in cui ha rischiato di morire e di ritornare alle sue attività quotidiane?
Una delle domande che, in modo più o meno esplicito, tutti ci facciamo oggi è: come sarà il futuro, prossimo e anche meno prossimo?
La risposta è all’incrocio tra le ansie e i desideri di ognuno di noi. L’ansia di perdere qualcosa rispetto al passato conosciuto (modalità di lavoro, il lavoro stesso…, la libertà, i comportamenti usuali, …) e il desiderio di vedere avvenire quei cambiamenti che molti vorrebbero da tempo ma che l’inerzia del “sistema” ha finora impedito di attuare.
La risposta è anche funzione del livello di ansia rispetto ai numeri e alle prospettive delle varie Fasi 1, 2, …, n: avremmo risposto nello stesso modo nel momento del picco del 20 marzo rispetto a quanto potremmo dire oggi?
Ci dibattiamo fra un consolatorio “andrà tutto bene” (leggi: tutto tornerà come prima) e un “niente sarà come prima”, a sua volta sparso fra infinite sfumature, partendo da un pessimismo da catastrofe biblica (è solo l’inizio… memento mori!), per passare a un compiaciuto “Gaia al contrattacco …decrescita felice!”, per finire con un tecno-ottimismo da accelerazione della singolarità verso il cyber-superomismo. Übermensch
Molte sono le suggestioni. La forte riduzione delle attività umane che fa riscoprire a tutti la qualità degli elementi (aria e acqua) non alterati dalle nostre emissioni e la velocità con la quale la natura si riappropria degli spazi. L’urbanizzazione in crescita senza limite che va a sbattere violentemente contro la coartazione negli spazi angusti dei dormitori metropolitani e fa riscoprire il distanziamento sociale a misura d’uomo dei piccoli borghi (Stefano Boeri). Le limitazioni della (poco) larga banda che invoca infrastrutture per sostenere tutto lo smart- (-working, -learning, -teaching, loving, …) e che ha fatto vacillare anche i più refrattari critici dei social network, invertendo il giudizio sui videogiochi da flagello a terapia psicologica per i minori (Riccardo Luna). La critica dal tempio (dell’economia e della finanza) del Financial Times che riscopre la resilienza delle scorte di magazzino e di una catena del valore bilanciata contro l’anoressia del credo del just-in-time globalizzato e dello spolpamento dei fornitori.
Il Covid-19 come sasso nell’ingranaggio che ha finalmente messo in crisi i moloch della globalizzazione e del riscaldamento globale e che permetterà di cambiare il corso della storia che altrimenti avrebbe richiesto decenni per virare ?
O come il catalizzatore di un salto verso futuri distopici di crescente solitudine (sembra che la Germania abbia avuto molti meno morti dell’Italia, a parità di contagiati, perché il distanziamento sociale è già una realtà consolidata con una quota del 40% di ultrasessantenni che vivono da soli come effetto congiunto di divorzi e figli che escono di casa molto giovani – Giovanni Di Lorenzo Direttore di Die Zeit), iper-controllo individuale, robot spioni, con enclave superprotette (da tutti i punti di vista) dove i super-ricchi si godono tutte le libertà negate ormai alle masse (vedi il caso di Les Parcs de Saint-Tropez con i tamponi a pagamento garantiti ai residenti a dispetto di quelli insufficienti per il personale sanitario del locale ospedale)?
Insomma, era dell’Acquario o Blade Runner ?
Chi è convinto che non si tornerà più indietro è alla caccia del “next normal”, il nuovo punto di equilibrio che dovrà essere raggiunto appena saremo riusciti a trovare il patto di convivenza con il nuovo scomodo inquilino del genere umano (e di quelli che verranno).
Guardando verso il futuro per inclinazione professionale, sono due i temi di interesse:
- Quanto (e come) sarà distante il nuovo punto di equilibrio dalla situazione pre-Covid-19?
- Quale traiettoria verrà seguita verso il nuovo punto di equilibrio? Che, in termini più specifici, corrisponde a chiedersi: quanto ampia e lunga sarà l’oscillazione prima di tornare all’equilibrio?
In tutti e due i casi si tratta di capire quali forze agiscono sul sistema e come interagiscono fra di loro. Ma si tratta di tenere conto soprattutto che, appunto perché complesso, il sistema è dotato di una significativa omeostasi.
Nel passato ho avuto la ventura di avere come consulente Cesare Marchetti (stessa alma mater di formazione post-universitaria, il CISE, culla del nucleare italiano). Scienziato sui generis, pilastro di quel curioso tentativo di guardare oltre i blocchi della Guerra Fredda chiamato IIASA (International Institute for Applied Systems Analysis) di Laxenburg (Austria) che con un manipolo di colleghi e discepoli (Nakicenovic, Ausubel, Grubler, …) ha guardato il mondo attraverso i processi di diffusione che sono la matematica alla base anche della epidemiologia (la diffusione delle innovazioni ha molto in comune con la diffusione dei virus).
La conoscenza più importante derivata da questi studi è che i sistemi umani, frutto di interazioni sociali sempre più basate su tecnologie, seguono traiettorie che permettono di fare considerazioni (e qualche previsione…) sul futuro. Guardate il grafico qui sotto: è del 1990 (C. Marchetti) e introduce in modo sintetico un concetto molto di moda oggi, la decarbonizzazione. Prevede una transizione completa al metano con l’ingresso nell’economia dell’idrogeno per il 2030. Trent’anni dopo la previsione sembra sempre più attuale: Greta o l’omeostasi del sistema? Ricordiamoci che il mondo è un sistema caotico di livello 2 (è influenzato dalle azioni che vengono compiute), ma le tendenze sembrano solo aspettare che si verifichino quei cambiamenti che finiranno per conservarle. All’epoca l’ipotesi era che la transizione verso l’economia dell’idrogeno fosse guidata dal nucleare, mentre ora sappiamo che sarà guidata da sole e vento…. (e la fusione? Qualche segnale nuovo, ma è da 50 anni che stiamo aspettando Godot…).
Venticinque anni fa avevo guidato un vasto studio sulla penetrazione delle tecnologie IT e di comunicazione mobile nell’ambito dei trasporti (dai navigatori alla guida automatica) con delle previsioni che nella maggior parte si sono avverate, salvo per i tempi sempre un po’ più ottimistici di quanto poi avvenuto (il mio primo Adaptive Cruise Control di serie è arrivato quasi 10 anni dopo le previsioni e con tecnologie diverse). Le tecnologie evolvono e quelle più efficienti tendono a sostituire le meno efficienti: è per questo che nel tempo i treni hanno sostituito i cavalli e le auto i treni. Se usiamo queste curve di sostituzione per vedere come le nuove tecnologie acquisiscono progressivamente quote di mercato, otteniamo il grafico sottostante (sempre pubblicato nel 1990, A. Grubler).
La cosa interessante, rispetto a capire come andrà a finire, è l’effetto della Seconda Guerra Mondiale fra il 1939 e il 1945, l’evento finora più dirompente rispetto al corso della storia recente (ben più della Prima Guerra Mondiale): il tasso di sostituzione fra strada e ferrovia subisce una significativa perturbazione durante gli anni della guerra, ma, dopo questa perturbazione, le pendenze delle curve di sostituzione (in declino per la ferrovia, in crescita per la strada) riprendono esattamente i valori precedenti al conflitto: è come se il processo di sostituzione si fosse “ibernato” per cinque-sei anni per poi ripartire esattamente da dove si era fermato.
E’ solo un fenomeno che riguarda i trasporti? No, lo stesso effetto di ibernazione è stato osservato in altri fenomeni sociali e tecnologici, come lo sviluppo delle comunicazioni e le diverse fonti di energia. Incidentalmente: trasporti e comunicazioni crescono di pari passo, allo stesso tasso, e non si sostituiscono: se non ci spostiamo per lavoro, ci spostiamo per impegnare il tempo libero.
E la Spagnola? In Francia, a cui si riferiscono i dati delle due figure qui sopra, i morti furono 400.000 su una popolazione di circa 40 milioni di abitanti (si stimano in totale da 50 a 100 milioni di morti su una popolazione mondiale di 2 miliardi nel 1920). Nonostante l’incidenza della mortalità, l’effetto sulle tendenze descritte si salda con quello della Prima Guerra Mondiale ed è comunque notevolmente inferiore a quello della Seconda Guerra Mondiale.
Un secolo dopo, non c’è dubbio che con una mortalità per il momento molto più bassa della Spagnola, l’effetto della globalizzazione degli ultimi trent’anni ha invece amplificato enormemente gli effetti di perturbazione del Covid-19 sulla nostra economia e sulla sua evoluzione. Ma se non cambia il paradigma fondamentale dell’evoluzione dei Sapiens degli ultimi 500 anni (la rivoluzione industriale supportata dalle tecnologie) che ci ha portato a diventare da animali a dei (Yuval Noah Harari), l’omeostasi del sistema reagirà per tentare di riportare l’evoluzione nelle traiettorie precedenti. Cosa significa questo per parti del sistema che oggi sembrano più irrimediabilmente impattate dal virus: le catene del valore globalizzate, i trasporti aerei, il turismo? Che, dopo un periodo di ibernazione, torneranno a muoversi secondo i tassi di sviluppo precedenti.
Ma attenzione, non è scritto né quanto sarà lungo il tempo di ibernazione, né come avverrà il rientro dell’oscillazione, né come le diverse tecnologie entreranno in competizione per garantire l’omeostasi del sistema. In modo solo apparentemente paradossale è la somma di tutti i cambiamenti che faremo da qui in poi che permetterà al sistema di riportarsi all’equilibrio.
Ed è qui che invece abbiamo l’opportunità di sfruttare questa perturbazione come occasione di apprendimento per riportarci in traiettoria, ma in modo sempre più consapevole. Non ci salveremo dall’estinzione solamente attraverso un vaccino, ma attraverso la complessa capacità di individuare e spegnere sul nascere la prossima epidemia (prevenire è meglio che curare….).
Finché rimarremo umani e la nostra scala dei bisogni non cambierà (Abraham Maslow) proseguiremo sulle traiettorie di sviluppo che porteranno alla decarbonizzazione, all’aumento dei passeggeri e delle merci trasportate, dell’urbanizzazione in megalopoli sempre più numerose e affollate ma che dovranno essere sempre più smart, soprattutto nel senso di sempre più sostenibili. L’economia circolare come premessa fondamentale perché tutto ciò si avveri. Dobbiamo inventare il nuovo metabolismo industriale che farà si che l’astronave Terra ci trasporti ancora nell’Universo per lungo tempo, o almeno finché rimarremo umani….
Per l’Homo Deus, non più solo Sapiens (Harari) e per la singolarità prossima ventura (Ray Kurzveil) cambieranno gli invarianti antropologici, cambierà il paradigma dei bisogni e il sistema avrà davvero un equilibrio diverso. Nel frattempo, se contro l’Apocalisse possiamo nulla, per tutto il resto ricordiamoci che l’omeostasi del sistema è frutto soprattutto delle nostre decisioni e di come siamo capaci di interpretarne e prevederne gli impatti.
Per molti il Covid-19 è stato il classico esempio di cigno nero, ma a distanza di qualche settimana è chiaro a tutti che si è trattato di un rinoceronte grigio. E che ce ne sono molti altri che già si aggirano fra di noi.
Non possiamo che convenire con Francis Bacon:
He that will not apply new remedies must expect new evils; for time is the greatest innovator.